
Una nuova linea di ricerca: paroikìa
Un’idea, un’intuizione, una prospettiva, una domanda mi sta accompagnando da qualche mese. Una domanda ampia, una domanda che esige una ricerca sul campo e che porta a una cascata di ulteriori domande. Una domanda che riguarda la città ma, anche oltre, la relazione e le possibili relazioni che possono essere costruite all’interno di una città. Una domanda che può diventare anche una linea di ricerca e che, spero, diventi una linea di ricerca. La domanda è la seguente: che senso hanno le parrocchie per i quartieri? Provando a guardare la parrocchia non solo dal punto di vista della pastorale, dal punto di vista di chi le frequenta, di chi ha fede o segue un percorso di fede, che senso hanno ancora le parrocchie? Se fosse semplicemente una funzione cultuale non avremmo bisogno di una parrocchia all’interno di un quartiere, ma ne basterebbero quattro o cinque in città medio piccole. Provando a guardare le parrocchie, dunque, non ad intra, attraverso una conduzione pastorale, cosa ne verrebbe fuori? Se volessimo valutare l’impatto sociale delle parrocchie, potremmo farlo? Come? Con quali mezzi? Come possiamo pensarle andando oltre il dato di fede? Possono essere ripensate andando oltre il dato di fede? Ma qual è il dato di fede e come si registra? Dall’affluenza alle celebrazioni? Dai servizi che offre una parrocchia? E quali servizi e a chi? In quel “chi”, possono rientrare anche i non credenti? E, ancora oltre, i non credenti che, comunque abitano i quartieri, si avvicinano alle parrocchie? Ne stanno alla larga? Che cosa cercano, quali sono i bisogni di un quartiere? È giusto che le parrocchie se ne facciano carico? Ma se ne facessero carico, sarebbero rivolti solo ai credenti o anche ai non credenti o anche ai credenti di altre religioni o confessioni? In sostanza, le parrocchie sono enti privati o pubblici? Se fossero semplicemente privati, allora non avrebbero diritto a finanziamenti pubblici, ma se fossero enti pubblici sarebbero discriminanti nei confronti di altre confessioni o non confessioni religiose? Solitamente vengono considerate come enti privati con funzione pubblica, ma qual è questa funzione pubblica? Ancora, potremmo continuare con tutta una serie di domande e di questioni che necessitano non solo una riflessione teologica e pastorale ma anche una riflessione sociale e politica. D’altronde, se guardiamo agli spot sulla firma dell’8xmille alla Chiesa cattolica (https://www.youtube.com/watch?v=fNUJMKKmtBc ), ci possiamo accorgere come non si punti ad una dimensione cultuale ma ad un impatto sociale sui territori e nei quartieri. Per questo, le domande che sorgono sulle parrocchie, sul loro senso all’interno di un territorio, non smuovono soltanto questioni pastorali, ma anche impatti economici, sociali e politici all’interno dei territori. Soprattutto in territori dove lo Stato è assente, dove altre forme di potere sembrano prevalere e creare sistemi di oppressione e sfruttamento delle persone come anche dei beni comuni. Le parrocchie, oggi, sembrano essere uno dei pochi presidi sui territori, ciò che in sociologia chiameremmo corpi intermedi, capaci di creare, più o meno, una casa fra le case, di farsi voce di cittadini e non che spesso sono esclusi dalle decisioni e dai meccanismi del potere. Domande che non esigono risposte secche ed esaustive ma che ci mettono in cammino per conoscere e riconoscere il senso sociale delle parrocchie in relazione ai quartieri, una parà oikos.
Sarebbe opportuno aggiungere una domanda: “Le parrocchie hanno rispetto del vicinato?”. In questo senso, si pone la questione dei campanili selvaggi
W le PARROCCHIE!! Sono un presidio socio culturale indispensabile e insostituibile!! E’ un servizio urbanistico!! Che fa parte della nostra Storia. E’ uno dei pochi luoghi di inclusione sociale. E’ un luogo di sport gratuito….. ecc. ecc. E’ uno standard urbanistico !!! Credenti e non credenti la frequentano da decenni!! …
“Le parrocchie, oggi, sembrano essere uno dei pochi presidi sui territori, ciò che in sociologia chiameremmo corpi intermedi, capaci di creare, più o meno, una casa fra le case, di farsi voce di cittadini e non che spesso sono esclusi dalle decisioni e dai meccanismi del potere.” Condivido quanto affermato: nei piccoli centri con unica parrocchia questa resta il luogo privilegiato di comunità, nei centri medi e grandi è richiesto un forte lavoro per attivare processi di cambiamento soprattutto culturale intorno al concetto di partecipazione secondo il quale tutto è politico cioè dall’agire quotidiano scaturisce La buona polis come sommativa del buon agire di ognuno.
Le parrocchie come corpo intermedio tra cittadini e Dio,sicuramente occorrono
Personalmente ho smesso di frequentare le parrocchie per vari motivi, dovuti a delusioni dei modelli
Ad iniziare da me, ben inteso, continuando con sacerdoti e parrocchiani vari
L esempio è il primo modello comportamentale che dovrebbe ispirare la verità del Vangelo
Ora Frequento i monasteri e conventi, dove si vive maggiore umiltà e spirito evangelico
Sia a Bisceglie, le Clarisse, che in viaggio
Buona ricerca🙏👍
La riflessione in merito alla domanda merita certamente approfondimenti che sono anche stati oggetto di discussione nelle fasi sinodali. “Abbiamo bisogno di artigiani di comunità”- aveva esortato papa Francesco durante la settimana sociale dei cattolici di Trieste. A mio parere, la parrocchia deve e può essere luogo dove si dovrebbe esercitare la partecipazione dal basso di fedeli praticanti e non, diventando veramente un presidio nei quartieri per la formazione spirituale, politica di chi è coinvolto. Questo comporterebbe una seria formazione dei laici e anche una maggiore attenzione alla realtà delle esigenze da parte dei presbiteri. Come ho già segnalato in altre parti , l’esercizio di partecipazione diverrebbe effettivo se nei consigli pastorali l’ultima decisione non fosse solo dei responsabili parrocchiali. In ultima analisi si dovrebbe modificare il codice canonico perchè i consigli pastorali diventino non soltanto consultivi. Purtroppo in moltissime parrocchie del territorio ci si limita ad accogliere soltanto giovani e bambini , ma si è ben lungi da praticare una reale accoglienza , soprattutto di chi non è credente o non è praticante. Molto spesso ci si limita alla partecipazione dei riti e delle mansioni ordinarie. Sono convinta che la parrocchia o le unità pastorali , che molti preti non vogliono, possono diventare realmente un luogo di confronto, di ascolto e di accoglenza.