Rimanere

Rimanere

27 Aprile 2024 0 di Makovec

At 9,26-31; Sal 21; 1Gv 3,18-24; Gv 15,1-8

Le notizie che ancora incalzano la nostra società e la nostra contemporaneità ci spingono, ancora oggi, a riflettere sulla pace. Il tema della pace sembra essere una urgenza più che mai attuale. Ci basta pensare al fronte russo-ucraino, ma anche all’allargamento del conflitto israelo-palestinese come anche a tutte le guerre dimenticate che ancora imperversano e devastano in ogni parte del mondo. La pace diviene un ambito, una aspirazione, un desiderio che vede coinvolte non solo le popolazioni che abitano le zone in guerre ma tutti noi che ogni giorno vediamo immagini di guerra, le quali rischiano di non farci più neanche molta impressione. Immagini che richiamano ad una guerra totale, ad una capacità umana non solo di fare la guerra ma anche di distruggerci totalmente. Il tema della guerra, oggi, assume questa principale caratteristica per cui ogni guerra può essere l’ultima in quanto rischia di distruggere tutta l’umanità. E in un volume curato da Francesca Bonicalzi che racchiude gli interventi di diversi autori, Pensare la pace, il sottotitolo sembra essere ancora più interessante: il legame imprendibile. La pace è un legame imprendibile. Non solo una aspirazione o un auspicio per evitare la completa distruzione del genere umano, ma un legame che sfugge continuamente e che non riesce mai ad essere definito una volta per sempre. Eppure, la pace è pensabile anche in questo modo, come legame imprendibile e non solo come assenza di guerre o come tranquilla interiorità. Pensare la pace significa fare i conti con una ridefinizione dei nostri legami, un riconoscere la nostra storia e da chi prendiamo vita e linfa. Allora le parole di Gesù risuonano in un modo tutto particolare oggi. Nell’immagine della vite e dei tralci, infatti, non ritroviamo solo una esperienza di fede, un rimanere attaccati a Gesù come si rimane attaccati ad un’idea o ad un qualcosa che non c’è più. L’immagine della vite e dei tralci ci rimanda ad un rimanere che significa attingere vita, un rimanere che rimodula i nostri giudizi e le nostre relazioni sugli altri, ad un legame imprendibile, un legame fondamentale. L’immagine della vite e dei tralci, infatti, ci permette di riconoscere come Gesù non sia un’ideologia totalitaria, una dottrina che definisce e struttura la vita, ma sia un legame imprendibile, un rimanere attaccati alla vita come il tralcio alla vite. Dove fra tralcio e vite non c’è, in realtà, nessuna differenza di materiale o salti di qualità. Innestati alla vite significa rimanere in un legame che cresce con noi, un legame vivo con il Signore e mai dato una volta per sempre. Tanto che un tralcio di vite, lo possiamo riconoscere solo nel momento in cui viene tagliato via dalla vite, nel momento in cui non è più vite. Allora, il rimanere attaccati a Gesù diviene anche un rimanere attaccati ad una relazione che cresce con noi, ad una relazione imprendibile che converte il cuore, che ci fa camminare con le altre persone, che cambia il nostro punto di vista sugli altri. Come hanno fatto gli Apostoli nei confronti di Paolo, con il quale hanno compiuto un passaggio, hanno cercato di capire cosa volesse e grazie a Barnaba sono riusciti a tessere ponti e a crescere nell’annuncio. Ed ecco perché viene detto che la Chiesa era in pace per tutta la regione. Non per un certo irenismo tranquillo ma perché annunciava Colui al quale la Chiesa, come comunità, è attaccata, quel legame imprendibile che ancora oggi fa crescere la Chiesa. Essere in pace, allora, non significa assenza di violenza, ma capacità di annunciare Colui nel quale la Chiesa stessa rimane, come comunità. Non si rimane avvinghiati alla vite da soli, altrimenti rischiamo di morire e di non trarre più linfa. Come ci insegna l’opera Pensare la pace, ma soprattutto come ci ricorda il Vangelo, nella vite si rimane insieme. Il tralcio che viene tagliato è l’ogni tralcio, un tralcio che pensa di fare da solo. Mentre quando Gesù parla del legame fra i tralci e la vite lo pensa sempre al plurale, in una comunità che è pluralità, non come coerenza degli elementi che costruiscono la pluralità, ma come unità della pluralità stessa, come tensione verso l’unità dell’io con il tu, come ricorda Levinàs. Per questo, rimanere nella vite significa ricordarci le parole della lettera di Giovanni. Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato. Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato. Riconosciamo di rimanere in Dio, come tralci alla vite, quando la comunità non è solo un insieme di persone che dicono la stessa cosa o la pensano allo stesso modo, ma quando ciascuna persona aspira all’unità con le altre, quando ogni persona trae linfa dall’unità alla vite rimanendo nella propria pluralità. E così ancora rimanere nella vite, rimanere nella pace, rimanere nella Chiesa, rimanere nel Cristo risorto.