
Prossimità e parrocchie
Una realtà in cui le parrocchie operano e che, spesso, viene sottaciuta è la prossimità. Etimologicamente, il termine prossimità, indica una vicinanza spaziale. Vicinanza che implica anche una condivisione dello spazio che, in quanto condiviso, è nella relazionalità fra pubblico e privato. Eppure, la prossimità come la intendiamo in questo piccolo intervento, non riguarda semplicemente i legami famigliari che vertono maggiormente sulla sfera privata. Il prossimo, insomma, non è il mio famigliare, altrimenti avremmo una specie di prossimità clanica, in cui la prossimità si mescola e si identifica solo con il sangue, con l’appartenenza ad una singola radice e così via. Il prossimo, dunque, non è solo il famigliare ma l’altro che diviene familiare, ovvero che diviene vicino, che accorcia una distanza senza forzatamente intersecare la sua storia con la mia. La prossimità è, dunque, un campo molto ampio e molto aperto, se vogliamo. È il mio amico con cui sono cresciuto nello stesso quartiere o frequentando gli stessi spazi fino alla persona che saluto per strada, per arrivare anche al povero che chiede l’elemosina. La prossimità ha a che vedere con la vicinanza nello spazio senza essere forzatamente una relazione intima. Ed è in questa relazionalità prossima, in questa relazionalità che si costruisce nel quotidiano e in un contesto spaziale situato, che ritroviamo molto del lavoro delle parrocchie. Un lavoro di prossimità che va dall’ascolto dei bisogni quotidiani, come anche dall’ascolto delle persone e dei loro problemi quotidiani, dalla mancanza di lavoro alle liti generazionali o famigliari. Ma sono anche il luogo dove arrivano le notizie e le informazioni riguardanti la vita del quartiere, dalle situazioni più gravi e difficili fino alle conquiste delle persone che, pian piano realizzano se stesse. Situazioni gravi che vanno dallo spaccio di droga alla violenza domestica e che difficilmente vengono pubblicate sui giornali se non quando ci sono delitti efferati. Invece, chi vive in parrocchia, chi abita la parrocchia e ascolta le persone, sa bene che molto del quotidiano rimane in un sommerso fatto anche di ingiustizie, tribolazioni, sofferenze, ansie ma anche speranze, conquiste, lotte e gioie. Molte delle oppressioni, sfruttamenti, disperazioni passano dalle comunità parrocchiali, in modo particolare da quelle comunità che sanno ascoltare, che lavorano sulla prossimità e sono consapevoli di essere un presidio di prossimità all’interno di un quartiere. Parrocchie che anche nel gesto simbolico del rimanere aperte durante il giorno dicono che c’è una presenza, che c’è uno spazio dedicato alle persone, dedicato all’ascolto ma anche alla denuncia, all’intervento nei confronti delle amministrazioni, degli assistenti sociali, della politica che amministra una città. Il lavoro di prossimità delle parrocchie consiste in questo raccordo quotidiano a valenza sociale e a richiamo politico sulle situazioni, sui bisogni dei cittadini. Senza bisogno necessariamente di comunicati stampa o di visibilità volta ad acquisire voti in prossime campagne elettorali. Lavorare sulla prossimità, in una dimensione di approssimazione sociale a scala locale, capace di avere un quadro di riferimento dei bisogni, delle necessità, ma anche delle speranze dei quartieri. In questa dimensione di approssimazione ha un compito importante il parroco.
“Prossimità” va a braccetto con “Comunità”, spesso non c’è comunicazione seria tra chi frequenta la parrocchia e non per dire che si dicono cavolate o si gioca, ma non c’è profondità nei nostri discorsi, mai che chiediamo a qualcuno che pur vediamo tutti i giorni: “come stai veramente?”; un po’ abbiamo paura a chiederlo, perchè non sappiamo se siamo in grado di ascoltare l’altro, perchè non vogliamo sobbarcarci dei problemi degli altri eppure basterebbe un “come stai” e no non è gossip, non è cultura del chiacchiericcio, è tempo di cura.
Quella cura che tutti vorremmo, ma che non siamo in grado di dare ne abbiamo paura e siamo un po’ egoisti perchè è nell’indole umana cercare qualcuno che si prenda cura di noi che ci faccia stare bene, ma sappiamo farlo anche noi? Molto spesso no, abbiamo paura anche noi ad aprire i nostri sentimenti all’altro-e cosa deve pensare di me, non voglio farmi vedere fragile, non voglio che il mio problema diventi una chiacchiera da bar.
Così muore la prossimità. In ambito sanitario è spesso citata questa frase “il tempo di relazione è tempo di cura” si intende come tempo di cura quella relazione con il pz di fiducia, di ascolto attivo, di vicinanza, di PROSSIMITÀ e lo stesso Papa Francesco nell’enciclica Lumen Fidei scrive: “una presenza che accompagna, una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce”. L’augurio è quello di impegnarci sempre nel nostro piccolo a tessere relazioni sane, genuine, di aiuto, di cura verso il prossimo a partire dalle nostre comunità in cui la prossimità è alla base di tutto.