Il deserto nella città

Il deserto nella città

6 Gennaio 2021 2 di Makovec

Durante i mesi di lockdown, che pensavamo aver lasciato dietro di noi, le immagini passate dai telegiornali facevano rimbombare continuamente le città deserte. Negozi chiusi, uffici spogli della loro produttività, strade senza auto, marciapiedi senza il quotidiano strepitio dei pedoni. Tutto chiuso, tutti costretti a rimanere nelle proprie case e ad uscire solo per motivi di necessità. Sono stati mesi che hanno rivelato tutta la fragilità del nostro stile di vita, che ci hanno fatto rendere conto della complessità e delle interconnessioni del mondo, ma anche della porosità e della imprevedibilità degli scenari che ci possono attendere in futuro. L’unica immagine che ci rimane impressa è quella della città vuota, della città silenziosa, della città deserta. Ed è proprio a questo tema che ha dato ampio respiro il numero di settembre de I luoghi dell’infinito, intitolato proprio Deserti: dal Sahara alle metropoli. La rivista, come già sappiamo, appartiene ad Avvenire, testata giornalistica ufficiale dei Vescovi Italiani. Il taglio e la lettura che vengono dati del deserto, quindi, riecheggiano molto dell’esperienza dei primi monaci che si ritiravano proprio in un luoghi solitari per fuggire dal rumore e dalla mollezza della città. La celebre fuga mundi, allora, ovvero il fuggire gli agi del mondo e soprattutto delle città, non è tanto uno scappare dagli impegni e dalle responsabilità della vita quotidiana, quanto entrare in una dimensione nuova, in una dimensione altra. L’esperienza del deserto, infatti, è una esperienza simbolica, in cui la solitudine diviene la principale compagna, lo scavo dentro se stessi il proprio allenamento, la lotta contro le tentazioni che degradano l’essere umano un esercizio costante. Tuttavia, se l’esperienza del deserto nei primi secoli della Chiesa si è contrapposta all’esperienza della città, ecco che durante la pandemia il deserto è entrato volenti o nolenti nelle nostre città, città deserte appunto. Dove la città deserta non significa solo rimanere chiusi in casa, ma fare i conti con una dimensione intrapersonale che, spesso, cerchiamo di evitare. Ripieni di rumori, di impegni, di macchine che transitano, di suoni di clacson, di offerte pubblicitarie, le città oggi sono sempre più restie al silenzio. Anche nei supermercati, pur di evitare l’imbarazzo del silenzio, viene trasmessa continuamente radio o programmi musicali. Al massimo il silenzio è relegato ad alcuni luoghi come una biblioteca o una chiesa, in cui si ha bisogno di concentrazione o di meditazione, ma oltre no. Molto spesso non sopportiamo neanche trenta secondi di silenzio ovvero il tempo che serve all’ascensore per raggiungere il piano del nostro condomino, mentre siamo con lui richiusi in due metri quadri. Le città deserte, allora, hanno fatto parlare molto non tanto delle misure di contrasto alla pandemia quanto all’interno delle nostre case. Sofferenza, insofferenza, ansia, depressione, angoscia per i propri famigliari, pigrizia, trascuratezza di se stessi e dell’ambiente, tentazione di lasciarsi andare e non pensare più a niente. Tutti questi rumori riecheggiano nelle città deserte, e non sono udibili perché sono rumori che abitano dentro di noi, rumori esplosi o lasciati semplicemente lì a fermentare dentro di noi, nel silenzio delle nostre città. Allora, l’esperienza del deserto è divenuta la nostra esperienza, l’ingresso in una dimensione che tendiamo e tentiamo sempre di respingere e che durante il blocco della città, ci ha messo dinanzi a noi stessi, a chi siamo e a cosa ci attendiamo dalla vita. Ognuno di noi si è trovato dinanzi a questi scenari, dinanzi al proprio deserto, ma è da questa esperienza che possiamo ripartire anche per il futuro delle nostre città. Tornando da quella dimensione di deserto che ci ha messo in contatto con l’assoluto della vita, con la scelta decisiva fra vivere e morire, possiamo ricominciare ad abitare la città in un modo nuovo, forse anche con meno logistica ma certamente con più logica. Perché solo l’esperienza del deserto può ridonarci una postura dell’abitare.