In albis

In albis

6 Aprile 2024 0 di Makovec

At 4,32-37; Sal 117; 1Gv 5,1-6; Gv 20,19-31

In questa domenica in albis, l’antica usanza vuole che i catecumeni che hanno ricevuto il battesimo la notte di Pasqua tolgano la veste bianca, in quanto è ormai solo un segno esteriore, in quanto la vera veste bianca, la vera vita nuova nella resurrezione di Cristo è la loro nuova condizione, la nostra nuova condizione di battezzati che vivono in un cuor solo e un’anima sola, come ci ha ricordato la narrazione degli Atti degli Apostoli. Eppure, la domenica in albis, segna anche il passaggio, oggi, verso una nuova alba, verso un nuovo sole che sorge e che noi battezzati guardiamo e in cui crediamo. Questa nuova alba, questo sole che sorge, questo sole che è nel primo mattino di Pasqua è il Cristo Risorto. Un Cristo che si manifesta ai suoi discepoli verso la sera del giorno di Pasqua. Mentre le tenebre scendono, mentre tutto sembra farsi buio, ecco che noi guardiamo ad una nuova alba che sorge sul mondo, un’alba che ci insegna ad essere e a rimanere umani. Un’alba che si manifesta nei gesti quotidiani, nel bisogno di rimandare alla luce e di testimoniare la luce, anche oggi. Perché nell’incredulità di Tommaso, non leggiamo solo una mancanza di un discepolo, un rimprovero che Gesù fa a Tommaso, ma una sfida anche per il nostro tempo. Infatti, la domanda che ci facciamo, come comunità, alla luce della resurrezione di Gesù, non è solo se noi ci crediamo, ma dove si vede che il Signore è risorto? Quali sono i segni delle mani e del costato a cui oggi guardiamo e che ci possono far dire che davvero il Signore è risorto, che davvero il Signore Gesù è il risorto che illumina ancora questo mondo? La richiesta di Tommaso diviene, allora, sfida per noi che cerchiamo ancora il Signore, che non ci accontentiamo di aver vissuto una buona pasqua per poi ritornare alle solite occupazioni. La richiesta di Tommaso è una richiesta lecita che ancora tante persone si fanno e che diviene richiamo al nostro essere Chiesa, al nostro essere comunità di credenti che annunciano la resurrezione. E, come ci ricorda sempre l’evangelista Giovanni, anche l’incredulità di Tommaso è stata riportata come segno del Signore non come monito per noi, come un segno di attenzione riguardo la nostra incredulità, ma come pro-vocazione a scorgere ancora oggi la presenza di Gesù risorto in mezzo alla nostra comunità, in mezzo a noi. Da dove si vede che Gesù è risorto? La risposta che la Domenica in albis ci offre è: dalla veste che portiamo. Da quella veste interiore che diviene stile di vita, che diviene segno della presenza del Signore nel mio corpo, nella mia quotidianità, nelle scelte che, come comunità cristiana, operiamo. La liturgia di oggi sembra segnare un orizzonte che nella resurrezione di Gesù ci viene aperto dinanzi. Un orizzonte che riguarda anche l’andare controcorrente, l’operare e lo scegliere delle strade che ci portano in un’altra prospettiva, in un altro orizzonte. Innanzitutto si tratta di passare da una visione individualista e sospettosa dell’altro ad una visione generante e rigenerante dell’altro. Siamo cresciuti e continuiamo a crescere pensando che se mi faccio gli affari miei vivo di più, che l’altro è sempre qualcuno che mi vuole portare via qualcosa, che la politica sia qualcosa di sporco e di cui non occuparmi perché sono tutti ladri, che in ogni occasione prima penso al mio vantaggio e poi se va bene al vantaggio degli altri, che le cose le devo meritare, che fare il doppio gioco o non dire la verità dinanzi ai potenti possa portarmi qualche vantaggio. Una sorta di individualismo colmo di ansie, frustrazioni, paure e preoccupazioni che esige un uomo forte al comando in grado di risolvere tutti i miei problemi e a cui poter delegare la mia libertà in nome della sicurezza. La resurrezione di Cristo scardina esattamente tutto questo e Cristo si fa vedere nella pietra che i costruttori hanno scartato, la quale diviene pietra angolare. Con tutte le brutte notizie che si sentono ci chiudiamo in casa e nei nostri affari, tanto da diventare una professione di ateismo pratico senza speranza e senza via d’uscita che non siano farmaci e dipendenze varie. Invece, proprio il nostro scarto, il nostro essere scartati, la nostra storia mancata e frustrata nella comunità diviene punto da cui ripartire, rimessa in circolo di una vita nuova, di una vita rigenerata. Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato. Dove la generazione indica un processo che non distrugge e ricostruisce daccapo ma che parte da ciò che c’è già, da quella storia scartata, con cui battiamo all’unisono, un cuor solo e un’anima sola. Un battere all’unisono che diviene anche segno di rimessa in circolazione di vita e segno di speranza per le persone. Non basta dire a parole che Gesù è risorto, ma è testimoniando e guardando alla resurrezione delle persone che ci rendiamo conto che Gesù è il Signore Risorto, che le sue mani e il suo costato sono ancora in mezzo a noi, visibili. E sono visibili in tutti quei gesti comunitari di attenzione al prossimo, di attenzione al bisogno di ciascuno. Una testimonianza così potente che Marx l’aveva posta come punto di arrivo di tutte le sue teorie economiche: da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. Segni di speranza che ancora oggi vibrano nella nostra società e che segnano una controtendenza rispetto all’egoismo, al merito e alla competizione. Gruppi di acquisto solidale, commercio equo e solidale, la Mutua Auto Gestione, le comunità energetiche, i bilanci di giustizia, l’economy of Francesco. Tutti segni e prassi che vedono una comunanza di beni, un mettere insieme le risorse per aiutare le persone secondo i bisogni di ciascuno. Una economia comunitaria che, come ci ricorda Guido Candela, propone un cambio di paradigma che passa dalla logica dell’Io alla logica del Noi. Testimonianza di fede che diviene pratica sociale quotidiana, pratica ecclesiale e politica al tempo stesso che diviene criterio di verifica dell’annuncio della resurrezione, delle nostre pratiche quotidiane, del nostro essere comunità parrocchiale, casa in mezzo alle case, del nostro rimanere umani, battezzati e risorti. Uomini e donne rivestiti in albis, per sempre.