Verso la Gerusalemme celeste

Verso la Gerusalemme celeste

5 Luglio 2025 0 di Makovec

Is 66,10-14c; Sal 65; Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20

I fiumi del paradiso, bagneranno Gerusalemme, quando tutti i figli sopravviveranno ai babbi e alle mamme. Così canta Jovanotti in una canzone di qualche anno fa dal titolo Il mondo è tuo. Un verso profetico ancora oggi perché Gerusalemme si trova a vivere nella paradossalità di una condizione che sembra non avere mai fine o la cui unica fine sembra essere lo sterminio di intere popolazioni ed etnie. I fiumi del paradiso, la consolazione del Signore, giungerà quando non ci sarà più violenza, anzi tutta la violenza sarà messa a tacere dalla consolazione del Signore. Questo ci ha ricordato il profeta Isaia. Una profezia che ancora oggi è estremamente valida e cogente nella sua verità. Il profeta invita ad esultare per Gerusalemme, a sfavillare di gioia per noi che siamo in lutto, per noi che partecipiamo al suo lutto. Dove la partecipazione al lutto non significa che noi siamo lì a Gerusalemme ma che ci facciamo carico delle tante situazioni di disumanità che, soprattutto intorno a Gerusalemme, si stanno compiendo. L’attesa del giorno del Signore, l’attesa della pace è ciò che non ci fa cedere alla disperazione e ciò che non permette lo sterminio. Il credere nella pace, il credere che il Signore verrà a ristabilire la pace è ciò che, oggi, ci fa annunciare il cessate il fuoco, ci fa ancora dire che è mostruoso affamare delle persone o sparare sopra civili che vanno a prendere un po’ di cibo. Attendere la pace non significa delegare la pace al Signore ma lavorare per la pace, essere noi artigiani di pace, di quella pace disarmata e disarmante come ci ha ricordato Leone XIV. Ed è interessante sottolineare come la pace abbia a che vedere con il nutrimento, come la consolazione del Signore sia carezza, gesto di allattamento, di presa sulle ginocchia di un bambino. Un Padre che si rivela come Madre che porta la pace e che porta alla pace. Il credere in Dio e nel Dio di Gesù Cristo, oggi, significa lavorare per la pace, significa lavorare per creare già in mezzo a noi condizioni e vie di pace. Significa, come ha ricordato Paolo, essere nuova creatura. Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio. Per noi non è importante le formulazioni di fede, come non è importante neanche sapere tutto esattamente ma sentire in profondità che siamo tutti umani, che siamo tutti parte di una stessa umanità e che quella umanità oggi è minacciata nella sua stessa sopravvivenza. La scelta, oggi, non è fra guerra e pace ma fra pace e sopravvivenza, ed è questa consapevolezza che ci rende oggi nuova creatura. E l’essere nuova creatura, come ha fatto anche Paolo, significa camminare per le strade del mondo, significa intessere legami di prossimità. La pace non si costruisce solo con la diplomazia o con gli accordi internazionali ma con la prossimità, con l’essere accanto gli uni gli altri, nel cercarci, nel trepidare quando avviene qualcosa ad un’altra persona, non cedere al rancore o al pensare che all’altro ben gli sta se gli succede qualcosa di male. La pace si costruisce camminando a due a due per le strade del mondo, per le case, fra la gente. Non si costruisce pensando solo a se stessi, anzi questo è ciò che suscita contese, rivalità e forme di potere. È quello che avviene quando non accogliamo la prossimità, secondo le indicazioni di Gesù, per cui è meglio andarsene da un luogo sbattendo addirittura la polvere dai sandali, come a dire “Se voi siete così disinteressati al mondo, allora il mondo si disinteressi di voi”, non abbiamo più nulla da spartire con gli indifferenti. Perché oggi c’è bisogno più che mai di pace, c’è una urgenza di pace che interpella la nostra collaborazione anche come agnelli in mezzo a lupi, anche quando siamo completamente disarmanti dinanzi ai potenti di turno, dinanzi alla mediocrità, alla disumanità e all’indifferenza. Noi ci occupiamo di costruire pace, di raccontare le opere di misericordia che il Signore ha compiuto anche nelle nostre vite, anche nella mia vita. Così annunciamo il Vangelo in tutto noi stessi e con tutto noi stessi. Così riusciremo a sopravvivere allo sterminio di massa e, in questa sopravvivenza di tutti i figli ai genitori, come ci ha ricordato Jovanotti, guarderemo alla Gerusalemme nuova, alla Gerusalemme celeste.