Prigioni e visioni: Pietro e Paolo

Prigioni e visioni: Pietro e Paolo

28 Giugno 2025 0 di Makovec

At 12,1-11; Sal 33; 2Tm 4,6-8.17-18; Mt 16,13-19

Può sembrare impensabile, se non addirittura curioso, che tutte le più grandi visioni e trasformazioni sono nate nelle carceri. Se volessimo raggiungere il colmo, sembra che il carcere, nel corso della storia, sia stato il luogo privilegiato per la dissidenza, per la costruzione di un pensiero alternativo, per una visione che vada ben oltre la realtà. Esempio di queste trasformazioni innescate da delle visioni comuni è il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. Un manifesto per una Europa unita scritto nel 1941, in piena Seconda Guerra Mondiale e da due uomini confinati a Ventotene dal regime fascista. In un momento storico dove questi due uomini hanno pagato con il carcere per le loro idee politiche, nel momento in cui le truppe di Hitler erano sparse per tutta Europa e vi erano solo bombardamenti e miseria, questi due uomini prendono carta e penna e iniziano a scrivere un Manifesto per una Europa unita, manifesto considerato una delle basi culturali dell’Unione Europea, anche se non sappiamo se l’attuale Unione sia il frutto più diretto delle idee di Spinelli e Rossi. Ma ciò che ci interessa e colpisce è proprio questa speranza che attraversa carceri, desolazione e guerra. Una speranza che non si ferma dinanzi alla realtà ma che alza gli occhi verso una visione possibile. Una visione che, oggi, la Liturgia della Parola ci riporta attraverso la vita di Pietro e Paolo. Anche loro due uomini, anche loro carcerati, anche loro pagheranno fino alla fine per le loro idee ma, ancora di più, per la loro fede in Cristo. Gli Atti degli Apostoli ci raccontano di un Pietro che viene messo in carcere a Gerusalemme, mentre la Lettera a Timoteo di un Paolo che è già in carcere a Roma e sta per essere giustiziato. Entrambi finiscono in carcere ed entrambi dal carcere offrono la loro testimonianza, la loro pasqua, il loro passaggio. Negli Atti degli apostoli troviamo un Pietro che viene messo in carcere da Erode per assecondare la volontà dei Giudei, per far loro cosa gradita. Così, mentre si trova in carcere, una preghiera sale dalla Chiesa per lui. Nella notte degli Azzimi, la notte della Pasqua, la notte del passaggio che aveva vissuto il popolo di Israele come lo stesso Gesù, ecco che Pietro viene liberato dal carcere, ecco che anche noi siamo liberati dalle nostre carceri, entrando nella Chiesa e attraverso la Chiesa. Un passaggio che fonde realtà e visione, che non sembra vero nemmeno a Pietro e di cui si accorge solo successivamente, quando è arrivato fuori e lontano dal carcere. La liberazione di Pietro non è una fuga ma un passaggio vissuto nello Spirito, fra la realtà dei ceppi e delle catene che lo trattengono e una visione che crede di avere in cui un angelo lo libera. Oggi, invece, ciò che sembra mancare è proprio una visione che inneschi processi di liberazione. Una visione che non solo proietta al futuro ma che è anche in grado di raccogliere tutta la nostra vita, di fare sintesi di noi stessi, come è avvenuto per Paolo. Nel suo scritto a Timoteo, infatti, Paolo ha chiara non solo la visione del suo futuro, il quale sembra abbastanza chiaro, ma soprattutto le motivazioni che lo hanno condotto fino lì. La visione di Paolo è una sintesi della sua vita, il riconoscere il senso profondo di tutto quello che ha fatto e ha vissuto. Ecco perché racconta non solo della sua morte imminente ma anche della bellezza di tutto ciò che ha già vissuto, di tutti gli itinerari compiuti per Cristo, con Cristo e in Cristo. Così, paradossalmente, anche se in catene, afferma di essere stato liberato dalla bocca del leone, di essere un uomo libero in Cristo. Ed è la visione che pone un compimento delle due vite, di Pietro e di Paolo, ma ancora di più, un riconoscimento di chi sono. Il Vangelo ci ricorda la professione di fede di Pietro, il suo affermare che Gesù è il Cristo. Non solo un qualcuno del passato, ma la rivelazione piena del Padre. E nel riconoscere il Cristo, Pietro riconosce se stesso in Cristo. E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. La visione non serve solo a trasformare la realtà, ma anche a riscoprire le motivazioni del nostro vivere e a riconoscere chi siamo veramente, per essere liberi da ogni paura come abbiamo ricordato e pregato nel Salmo. Di questo Pietro e Paolo ci sono testimoni e maestri.