
Quando il prossimo manca, don Matteo
Dt 30,10-14; Sal 18; Col 1,15-20; Lc 10,25-37
Chi è il mio prossimo? La risposta alla domanda del dottore della Legge è il racconto del Samaritano ma, se volessimo riassumere la risposta, potremmo dire che il prossimo è colui che ti salva la vita. Non è colui che è solo vicino a te, ma colui che ti salva. Questa è la differenza fra prossimità e vicinanza. Ed oggi, in maniera dolorosa, impariamo ancora questa lezione di vita dalla storia di don Matteo Balzano, presbitero morto suicida a 35 anni, nella diocesi di Novara. Un gesto estremo e sconcertante, un gesto che in molti vicini a lui non hanno capito e non hanno mai avuto sentore di nulla. Molte persone vicine, soprattutto ai preti, ma pochi prossimi. Ecco che è qui la differenza fra vicinanza e prossimità, una differenza non di poco conto perché, forse, se don Matteo avesse incontrato prossimità allora si sarebbe salvato, sarebbe ancora in mezzo ai suoi parrocchiani. Ebbene, la differenza fra vicinanza e prossimità è in questa capacità di salvarci la vita. Non basta essere ben voluti, non basta essere bravi, non bastano le gratificazioni, ma occorre prossimità ed è solo la prossimità che ci salva. Dove la prossimità, come ha ricordato Chiara d’Urbano in un articolo su Avvenire (https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/aiutiamo-di-piu-i-nostri-sacerdoti-a-riconoscersi-vulnerabili ) significa riconoscersi vulnerabili. Solo quando siamo vulnerabili, allora ci possiamo riconoscere prossimi e possiamo riconoscere l’altro come il nostro prossimo. Il senso del racconto del buon Samaritano è tutto qui. Non solo nel farsi carico di qualcuno ma nel riconoscere la vulnerabilità dell’altro, nel riconoscere che l’altro è mezzo morto, in una situazione di sospensione, dove in ogni minuto si è in bilico fra vita e morte. Non basta solo prendersi cura delle persone, ma riconoscere che siamo in una dimensione di prossimità, che l’altro di cui mi prendo cura ha bisogno egli stesso di cure, ha bisogno egli stesso delle mie cure. È proprio questo che, forse, nella vita di don Matteo è saltato, lasciandolo sprofondare in una immensa solitudine ma, ancora di più scoperchiando un abisso che è nel cuore di molti preti sempre chiamati ad essere prestanti, sempre sulla bocca di tutti, sempre in errore qualsiasi cosa facciano e qualsiasi scelta possano prendere. La morte di don Matteo ci ha rivelato che tutti i principi e le regole saltano quando c’è una persona in bilico fra vita e morte, fra solitudine e disperazione. Ed è questa vita sospesa che si fa vicina a noi e che, come ci ha ricordato il Deuteronomio, ci converte. È la vita che chiede prossimità, che chiede una pacca sulla spalla, che chiede un sorriso e un abbraccio, una vita vulnerabile la manifestazione più grande di Dio, la sua stessa prossimità, la sua stessa scelta di prossimità. Perché è Dio che ha scelto di farsi prossimo, di non abitare nei cieli o al di là del mare, ma di abitare nella prossimità del cuore e dell’anima. Ed è quando scorgiamo un Dio che si fa prossimo che siamo disposti all’obbedienza e alla conversione. Solo nella prossimità ci può essere obbedienza e conversione altrimenti diventa tutta una esecuzione cieca di comandi o di nomine che lasciano poco di umano mentre lasciano trasparire un linguaggio assurdo per cui siamo solo strumenti, dobbiamo essere maturi, dobbiamo fare questo o quell’altro, mandati di qui o di lì. E il campanello di allarme, la differenza fra i precetti del Signore e il semplice sentirsi pedine attraversate dalla solitudine, è se questi precetti fanno ancora gioire il cuore, se sentiamo ancora la dolcezza e la bellezza di seguire Gesù, di avere ancora gli occhi illuminati dalla luce del Signore. Se non è così allora occorre preoccuparci, occorre iniziare a correre ai ripari, chiederci dove la nostra vita sta ardendo senza bruciarsi, dove è il mio prossimo. Dove è quel Gesù che è il principio di tutto e senza il quale più nulla ha senso come ricorda Paolo alla comunità di Colossi. Occorre ricordarci di Gesù, ricordarci del principio senza il quale sprofondiamo nelle tenebre della solitudine dei tanti problemi, delle mancanze, dell’essere sempre forti nel sopportare tutto fino a quando non ci recidiamo dalla faccia della terra. La morte di don Matteo, il dolore di tanti preti è in questa mancanza di prossimità, di una persona in grado di farti riscoprire il principio della vita, l’essenza del cosmo stesso, di una persona che semplicemente ti voglia bene e si preda cura delle tue vulnerabilità senza invadenza, ma nella rappacificazione della croce del Cristo. Persone rare ma che, una volta incontrate, ti salvano la vita perché si fanno prossime e ti fanno gustare la vita eterna.