Percezioni nude

Percezioni nude

21 Novembre 2021 0 di Makovec

Lo sguardo sulla realtà è anche la realtà dello sguardo, quando parliamo di città. In altre parole, c’è sempre uno sguardo che precede la città, attraverso cui tentiamo di darle forma e rigore. Uno sguardo che è immerso nella città e da cui la città prende forma e si trasforma. In questo senso, riscopriamo il perché della pluralità degli sguardi che occorrono per parlare di città. Perché la città è, di per sé, un soggetto plurale. Anche solo nel rimanere fisso nel passaggio dal singolare al plurale, ci rendiamo conto di come la città o le città abbiano bisogno di una pluralità di sguardi, ma non solo. Infatti, la città è anche il soggetto che ci guarda, che ci rimanda il nostro sguardo, in una tensione dialettica con gli altri sguardi. Un labirinto di sguardi: i più disparati e differenti, i più attenti o i più distratti, tutti dentro la città. Ecco perché non possiamo ridurre la città ad oggetto, isolarla al macroscopio, come neanche guardarla da lontano, al telescopio, come se non ne facessimo parte, come se non avessimo anche noi una esperienza nuda della città. Ma è proprio di questa percezione nuda della città, ovvero di una inconsapevolezza dello sguardo, ciò da cui tutti noi partiamo. Le prime percezioni della città, il primo sguardo, non è legato alle notizie, alle dinamiche sociali, alle forme di potere o alla crescita economica della città. Le prime percezioni riguardano la nuda esperienza urbana, ovvero uno sguardo che è dentro, circondato dalla città. Questa nuda esperienza è la materia su cui si poggiano i successivi sguardi, le successive percezioni urbane. Non in maniera deterministica, ma evenemenziale ovvero legati ad eventi successivi che mettono a fuoco e sfocano i nostri sguardi sulla città. Questo passaggio dalla nuda esperienza agli eventi successivi che modificano lo sguardo sulla città, non può essere controllato ma gestito. Dove per controllo intendiamo il fatto che nessuno di noi può decidere gli eventi della vita, ma tutti possiamo educarci a gestirli, a capire cosa farne. E questo processo educativo nasce da una domanda, da un perché, dalla ricerca di un perché. Quando germoglia in noi questo perché, ecco che educhiamo lo sguardo ad essere abitante che toglie sempre più la sorveglianza dalle mani dell’istituzione, fatta di telecamere e sanzioni. Per innescare processi di appartenenza alla città, ai luoghi che si trasformano, che ci ricordano la consapevolezza di essere abitanti plurali di questa città.