
L’insostenibile leggerezza del campetto di calcio
Fin dalle origini, il vero punto di forza delle comunità parrocchiali è stato il radicamento nel territorio cittadino. Ancora oggi le parrocchie sono una vera e propria istituzione all’interno dei vari quartieri e cercano di rispondere anche alle esigenze degli abitanti dei quartieri, oltre che dei fedeli che frequentano assiduamente le comunità. Uno dei punti di forza dell’intervento delle comunità all’interno dei quartieri è la costituzione degli oratori, sia come luogo di aggregazione sia come opportunità di formazione dei piccoli, dei giovani e degli adulti. Fermo restando il grande impegno pastorale delle comunità all’interno dei quartieri è curioso notare alcuni elementi predominanti che caratterizzano le strutture oratoriali delle parrocchie.
Stando ad una breve indagine su Google Maps, delle sessantasei parrocchie che costellano la nostra Arcidiocesi, ventiquattro hanno un campetto di calcio fra le loro strutture oratoriali. Questo senza contare anche le altre strutture ecclesiali che non rientrano nelle parrocchie ma che, comunque, sono presenti sul nostro territorio diocesano. La nostra piccola indagine, inoltre, ha rilevato come la maggior parte delle parrocchie che possiedono un campetto di calcio abbia una fisionomia particolare. Se dividessimo la città, secondo il metodo classico dell’urbanistica, in tre zone principali, avremmo la zona del centro storico, la zona della città consolidata ovvero quel nucleo cittadino sviluppato al di fuori del centro storico, la zona periferia, con dinamiche amministrative complesse, con particolare riferimento alla Legge 167 del 1968 e successive modifiche.
Rispecchiando questa suddivisione, notiamo come le parrocchie del centro storico non posseggano quasi mai un campetto di calcio, mentre solo alcune delle parrocchie costruite all’interno della città consolidata possiedono un campetto di calcio. Da questo deriva che la maggior parte delle parrocchie che possiedono un campetto di calcio sono situate in periferia e tentano di rispondere a dei bisogni e a delle sfide che il territorio urbano pone. Infatti, costruire un campetto di calcio, per una parrocchia di nuova realizzazione, in periferia, significa coniugare due aspetti. Il primo è quello dell’aggregazione dal momento che il calcio è da sempre uno sport che richiama molti bambini, giovani e adulti, mentre il secondo è quello della sostenibilità economica di un campetto di calcio, dal momento che garantisce un introito per le parrocchie, il quale permette una gestione autonoma della struttura. Tuttavia, se questi sono i punti di forza della costruzione di un campetto di calcio all’interno di una parrocchia, si corre il rischio di una riduzione delle attività oratoriali a semplici momenti di aggregazione sportiva. Infatti, il calcio è lo sport più famoso e più praticato nel panorama italiano e molti dei ragazzi che partecipano alle attività oratoriali sono giocatori di calcio. Tuttavia, il grande pericolo è quello di confondere le parrocchie con circoli ricreativi e sportivi che non esprimano più il loro vissuto di fede e una seria animazione di quartiere. Un campo di calcio, insomma, rischia di essere una struttura che garantisce alle parrocchie una frequenza ma non una specificità della loro missione pastorale all’interno del tessuto urbano. Un mio amico, una volta, mi disse che, a suo giudizio, le parrocchie stanno diventando dei circoli privati di stampo sportivo, preoccupate di gestire la frequenza più che innescare processi a lungo termine in grado di formare coscienze e generare cristiani e cittadini attivi. E il campetto di calcio è il fenomeno sociale che caratterizza tutto questo, il grande pericolo di ridurre la nostra missione ecclesiale ad una quantità numerica di persone senza considerare il loro vissuto di fede. Ed è proprio in questo periodo di pandemia, in cui i campetti di calcio si sono fermati, in cui non è stato possibile far giocare i nostri bambini e giovani, che ci fa domandare sull’utilità di tante strutture oratoriali. Tante domande ci abitano, soprattutto sul ripensare l’annuncio cristiano nei nostri territorio, la progettazione pastorale delle parrocchie, un plusvalore etico che lasci un’impronta differente ai modi di vivere il pianeta. Si tratta, insomma, di pensare una pastorale che sappia analizzare i bisogni del quartiere e tracciare prospettive etiche e comunitarie ai nostri luoghi di aggregazione. Per non cadere nella banalità ma cercando strade nuove, percorsi inediti, che sappiano di Vangelo.
Pubblicato sul mensile diocesano “In comunione, settembre 2021”
Ho per lungo tempo coltivato, nel mio piccolo, il pensiero di don Milani, quindi con me sfondi una porta aperta. Che poi la presenza degli “intrattenitori” si riempirebbe di senso, se fosse occasione per sensibilizzare i soggetti fruitori. Insegnando disciplina, rispetto, sacrificio. Quindi una parrocchia portatrice di contenuto e non solo contenitore da riempire.
La differenza fra ricreazione e intrattenimento distingue il senso che un campetto in parrocchia aveva negli anni del dopoguerra e quello che ha oggi. Un senso che non riguarda l’oggetto campetto ma il tipo di rapporto che lo anima. Se, come sovente accade a tanti spazi di “socialità”, il campetto è ridotto a luogo d’intrattenimento corre i rischi giustamente evocati dall’articolo. L’obiettivo è dunque recuperarne la dimensione ricreativa, nell’accezione più intima del termine che contiene la funzione educativa. Naturalmente questa direzione non può essere esclusivamente il frutto di un lavoro dall’interno e in questo senso, proprio il campetto di calcio sembra il luogo meno adatto ad assumerla, visto il quadro della cultura calcistica in cui s’inserisce oggi, ma… Ma se, nello spirito di Don Milani, si riuscisse a cogliere questa criticità come terreno della sfida, proprio un campetto parrocchiale potrebbe diventare l’occasione per coltivare una diversa cultura sportiva e dunque umana: spazio di contestazione, di critica, piuttosto che di intrattenimento: spazio di pace piuttosto che di guerra.
Buongiorno. Necessario raccogliere, aggregare, riunire, coinvolgere, per poter aprire e sviluppare un dialogo. L’occasione può essere la convivialità, lo sport, le arti etc….il problema è la carenza di formatori , di volontari che siano portatori di valori e di passioni disinteressate.