Chiesa e città: un binomio ancora valido?

Chiesa e città: un binomio ancora valido?

25 Dicembre 2020 0 di Makovec

Il tema che affrontiamo, ovvero quello della città, non è presente nella teologia come neanche nei manuali di ecclesiologia. Per questo ci occorre innanzitutto fare chiarezza su cosa intendiamo per “Chiesa” e cosa intendiamo per “città”. Intendiamo Chiesa, il soggetto collettivo e istituzionalizzato nella città, una presenza che per quanto possa essere più o meno condivisa è comunque dislocata nel territorio urbano attraverso le parrocchie. Se guardiamo alla storia della Chiesa, lo sviluppo del cristianesimo primitivo e originario predilige l’essere in città, ma dall’altra è il rapporto con l’ambiente cittadino, di una mens a cui si fa riferimento. La strategia pastorale predilige il contesto culturale. Antiochia è una città multiculturale e plurireligiosa, da cui il cristianesimo prende avvio. Un contesto cosmopolita, come sono Antiochia e Alessandria, Corinto e Roma. Nei primi secoli, la strategia di evangelizzazione è di città e in città. Sappiamo che l’evangelizzazione in Asia Minore si sviluppa attraverso le strade che permettono una comunicazione più rapida. Anche nel Libro dell’Apocalisse, ci troviamo dinanzi ad una scelta strategica di trasmissione delle lettere alle Sette Chiese presenti nelle sette città lungo la via consolare. Alle origini, Chiesa è Un piccolo gruppo umano si trova strutturalmente a confronto con un contesto plurale che in questo caso definiamo “città”. Abbiamo una piccola comunità all’interno della città, configurandosi all’interno di comunità più piccole. Appartenenza ad un contesto sociale, politico e culturale come quello della città ellenistica e della città romana, si mescola con una rete di relazioni primarie. Un cristianesimo che non è più rurale ma trova forme e modalità di configurazione nuove nel contesto plurale e pluralizzato. Abbiamo rapporti personali, diretti, immediati. Le Chiese sono sempre locali, il carattere di localizzazione caratterizza l’esperienza ecclesiale nei primi quattro secoli. È un rapporto antico fra Chiesa e città, di Chiesa in città ma anche Chiesa di città. Un altro passaggio fondamentale è fra il XII e XIII secolo. Nascono e riemergono alcuni centri. Questo fa saltare l’organizzazione parrocchiale che viene data. Si iniziano a strutturare le parrocchie come fenomeno rurale, poi l’organizzazione delle parrocchie cittadine. Nel XII-XIII secolo, abbiamo anche la predicazione degli Ordini Mendicanti i quali oltrepassano la dimensione parrocchiale. Dopo le rivoluzioni industriali, la rivoluzione digitale, lo sviluppo di una mens teologica e di una mens urbana, le forme di esistenza e di appartenenza sono mutate. Saltano dei riferimenti alla parrocchia tradizionale, in riferimento all’appartenenza cittadina. La città dei testi biblici, la città della tradizione paolina, la città di Dio non sono le città di oggi, come non sono quelle della prima e seconda rivoluzione industriale, caratterizzate principalmente dall’anonimato. Per questo motivo, dunque, le nuove prospettive teologiche ed ecclesiologiche puntano ad uno sviluppo della Chiesa a mens urbana. Una Chiesa presente non più in una societas christiana, semmai fosse esistita, ma in un contesto estremamente plurale, ibrido, urbano. Un contesto di città fatto di povertà, ingiustizie, migrazioni dal contesto rurale a quello urbano. Contesto non omogeneo, ma frammentato. Città globali e world cities con appartenenza plurireligiosa e pluriculturale in cui il cristianesimo è una voce fra mille altre. Una voce che torna ad essere dislocata sul territorio, che ha bisogno di fare rete, che non può più immaginarsi come comunità egemone o privilegiata nei confronti di un mondo ateo e anticlericale. Perché lo Spirito soffia qui, in città, sempre più complesse e colme di solitudini.