Tempi dell’arte, tempi delle stazioni

Tempi dell’arte, tempi delle stazioni

13 Marzo 2022 1 di Makovec

I viaggiatori che attraversano le stazioni di Roma e Napoli, in questi giorni, possono imbattersi in una serie di opere d’arte insolite. Si tratta di due progetti, uno per Roma e uno per Napoli, in cui artisti e studenti delle rispettive Accademie di Belle Arti si confrontano con un linguaggio del tutto particolare: la stazione. Non è certo la prima volta che incontriamo dei graffiti all’interno delle stazioni, anzi potremmo affermare che graffiti e stazioni hanno un fattore comune: la temporaneità. Ed è forse proprio questo il primo e fondamentale elemento con cui i giovani artisti si sono confrontati all’interno del progetto. Come viviamo il tempo all’interno di una stazione, fatta di orari, attese, corse, cambi, passaggi? È lo stesso tempo di un museo? Se ci soffermiamo a guardare, ci accorgiamo che non sono la stessa cosa, anzi la stazione e il museo riflettono su due ritmiche differenti, se non addirittura contrapposte: la celerità della stazione e la calma silenziosa del museo. Come poterle coniugare? In un elemento temporale che si trasforma: l’attesa. O, meglio, la domanda che sorge è come trasformare l’attesa della stazione in un momento di riflessione artistica, in una esperienza artistica? Come poter influire sul tempo di attesa in una stazione ferroviaria? Tardando i treni? Questo ci sembra impossibile. Allora il solo modo per cambiare l’attesa delle stazioni in un momento di riflessione è cambiare il paradigma dell’arte, calcando la mano sulla dimensione pop più che su una musealizzazione classica. Graffiti che non sono classiche opere d’arte che possiamo incontrare o gustare in un museo, ma graffiti, appunto. Opere che hanno come durata la temporaneità e che riescono a dire qualcosa nella con-temporaneità stessa. In questo modo, ciò che cambia non è solo il linguaggio dell’arte, ma il linguaggio stesso della stazione, il come vivere un momento di attesa e farlo diventare riflessione. Anzi, potremmo affermare che questo continuo scambio e interscambio di tempi fra la stazione e l’opera d’arte, rende il luogo stesso differente, la nostra percezione del luogo diversa da quei non-luoghi che Marc Augè ha saputo descrivere. In altre parole, a cosa serve l’arte all’interno di una stazione? Solo per abbellirla? Oppure per trasformare uno spazio anonimo in un luogo con i suoi tempi , le sue dinamiche, i suoi linguaggi? E far risaltare proprio questi tempi, modalità, linguaggi? E se l’arte non fosse solo qualcosa da museo, ma un insieme di linguaggi in grado di dare forma ed espressione ai luoghi? Non sarebbe arrivato il momento di pensare alla città stessa intrisa di arte, di iniziare quella rivoluzione che aveva preannunciato Majakovskij di tinteggiare di colori e di arte ogni palazzo della città?