Per fare scuola: edifici e città

Per fare scuola: edifici e città

11 Settembre 2022 0 di Makovec

Tutti noi ricordiamo, nel bene o nel male, la nostra scuola. L’edificio dell’infanzia e delle elementari, costellato di un blu rasserenante, oppure quello delle medie con la pittura sbiadita, oppure gli edifici costruiti durante il fascismo con la loro architettura dedicata al duce, ancora riconoscibile. L’edilizia scolastica è, in qualche modo, sempre e comunque legata a ricordi e memorie che ci accompagnano per tutta la maggior parte della nostra vita. Sono i luoghi in cui, in modo particolare nei primi anni, abbiamo vissuto la maggior parte del nostro tempo e della nostra quotidianità. Eppure, l’edilizia scolastica è uno dei tasselli più problematici per quanto riguarda la politica e la sfera del pubblico. Non solo per quanto riguarda i costi di manutenzione o per svolgere le consuete attività, ma anche per i differenti paradigmi didattici che, nel corso della storia, si sono succeduti. Gli edifici scolastici, infatti, non sono delle semplici costruzioni, ma il riflesso di un modo di educare e di investire sulle giovani generazioni. Questo è ciò che maggiormente desta problematici per quanto riguarda le strutture scolastiche. Se, ad esempio, prendiamo i vari edifici scolastici di architettura fascista presenti nelle nostre città, possiamo notare come narrino un tipo di educazione improntata al rispetto austero e dogmatico per le istituzioni e le autorità. Le forme imponenti, i fasti di un tempo che fu e ormai perduto (o che, forse, non fu affatto), o soffitti alti simbolo di una educazione che proviene dall’alto e a cui bisogno sottostare, sono esempio di una educazione improntata all’obbedienza al regime e ad una serie di nozioni da imparare. Ogni edificio scolastico, insomma, è un prodotto culturale di una narrazione educativa, di un come e cosa insegnare. La sfida, secondo Alfonso Femia è quella di aggiornare l’edilizia scolastica in relazione alle nuove metodologie didattiche, formative ed educative contemporanee. Il gap, infatti, che Femia sottolinea in un suo articolo apparso per The Vision, è fra una metodologia educativa e formativa che guarda non solo ai contenuti ma anche ai processi e una edilizia scolastica ancora incentrata su una divisione dello spazio, una standardizzazione delle nozioni da apprendere, una economia di voti, crediti e debiti. Una sfida che vede gareggiare insieme pedagogia e architettura, in quanto già l’edificio scolastico è formativo, in modo particolare per i più piccoli e per le giovani generazioni. Occorre, secondo Femia, una scuola che, in primis, non sia scissa dal tessuto urbano, che non sia separata dalla città in cui i cittadini-studenti abiteranno. Una scuola, dunque, che faccia rete con le varie realtà locali, che sia diffusa all’interno della città, in modo particolare, nelle zone verdi. Una scuola che sappia creare sistema con l’ambiente circostante, che spinga all’interazione sia con l’ambiente naturale sia con la cittadinanza. Una scuola sostenibile, che permetta il passaggio osmotico fra interno ed esterno, con ambienti comuni in grado di favorire una interazione non solo nelle ore scolastiche ma anche in quelle serali. Insomma, una scuola che non sia un edificio scisso dalla città, come anche dalla politica e dalla storia, sempre identico a se stesso e che funzioni come una fabbrica per cui viene premiato chi ha un maggiore rendimento. Ma un edificio in cui ci piacerebbe vivere e in cui ci piacerebbe rimanere, questo già basterebbe per fare scuola.