Da una lettera aperta

Da una lettera aperta

2 Marzo 2024 1 di Makovec

Es 20,1-17; Sal 18; 1Cor 1,22-25; Gv 2,13-25

A distanza di qualche mese mi piace, oggi, riprendere in considerazione una lettera aperta dell’attore e regista Carlo Bruni in merito alla festa patronale di Bisceglie, avvenuta ad agosto scorso. Una lettera aperta che ha suscitato alcune risposte infastidite o addirittura allarmate. Una lettera aperta interessante, a mio parere, perché riprende esattamente l’immagine della cacciata dei mercanti dal Tempio da parte di Gesù. Nella lettera viene detto che, senza ricorrere alla tradizionale scacciata dei mercanti dal tempio, ma quanto meno prendendone le distanze, la prossima processione potrebbe seguire itinerari più periferici e magari. Ed è curioso perché una risposta che è stata data alla lettera è proprio in sottolineatura al fatto che sono i mercanti che pagano la festa patronale e che quindi hanno il diritto di essere lì. Ovviamente la risposta è stata fuorviante e il dibattito non ha sortito effetto, tranne quello di qualcuno che si è agitato per una lettera scritta. Ma ciò che maggiormente colpisce è che l’autore della lettera sia un non credente, una persona a cui non gli atti devozionali non interessano o non dovrebbero interessare. Ma è esattamente qui che ci sbagliamo e che la lettera aperta ha suscitato un mio personale interesse e una voglia di dialogare da persona che cerca di credere. Perché la cacciata dei mercanti dal Tempio non è la rabbia di Gesù contro qualcuno o il suo agitarsi per delle critiche ricevute. La cacciata dei mercanti dal Tempio non è contro i mercanti, ma è perché tutte quelle persone, compreso anche il clero dell’epoca, la parte migliore dell’epoca, ha perso il senso e il significato del Tempio stesso. Quel Tempio che il Corpo stesso di Cristo, quel Tempio che è il corpo di mio fratello e di mia sorella, del mio prossimo. È il Tempio che i Giudei non riescono ad afferrare, che non riescono a cogliere, che non hanno capito e non sono riusciti a comprendere. È il Tempio a cui Gesù viene a porre nuovo significato. Quel Gesù che è sempre fuori posto, fuori luogo, che non è come lo dipingiamo sempre, tranquillo e mansueto, ma è anche una persona che si fa prendere dalla passione, che sente il sangue bollire dentro di sé, che si appassiona all’essere umano e, al mistero che abita ciascuno di noi. È un Gesù che ci fa compire il passo della pasqua, quel passo di libertà in cui possiamo rimanere umani, in cui abbiamo passione per Dio e passione per l’essere umano. Quel Gesù che è scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani, perché Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. E Cristo è sapienza e potenza di Dio sia per i Giudei che per i Greci, sia per i credenti che i non credenti, sia per coloro che cercano un segno sia per coloro che cercano la sapienza, come scrive Paolo alla comunità di Corinto. Un Cristo che è potenza e sapienza, che è passione e pensiero, che affascina e attrae sia i credenti che i non credenti, perché attraverso la sua umanità ci fa scorgere la sua stessa divinità, inseparabili e inscindibili l’una dall’altra. Allora, anche un non credente che cerca di affermare una importanza del rito come fattore di umanizzazione è una persona che ci spinge a domandarci, a porre degli interrogativi come comunità sul senso delle pratiche devozionali, sul Mistero che stiamo celebrando, sulla realtà ancora viva delle processioni e degli altri culti vocazionali. Il problema non è separare i credenti dai non credenti e aver paura o provare rancore per un non credente che dice delle cose riguardo ad una pratica di fede, il vero problema è se queste pratiche hanno qualcosa da dire ancora alla nostra umanità oppure sono cose che dobbiamo ripetere e che continueremo a ripetere. La domanda è se quei riti interrogano ancora la nostra umanità, come l’immagine dei mercanti nel Tempio, oppure sono cose che ci lasciano indifferenti. Se anche quel Decalogo che abbiamo ascoltato ci rende più veri e più liberi, oppure è solo una didascalia da usare nelle confessioni perché non sappiamo che dire. Il problema, il punto di conversione in questo cammino quaresimale è sulla nostra umanità, sull’aderenza e adesione della Parola alla nostra umanità, se è ancora capace di intaccare la nostra pelle oppure è solo un modo per far soldi e ripetere cose vecchie, come se stessimo rianimando un morto. Un Decalogo che ha a che vedere con le altre persone, che pone Dio a fondamento della nostra fede e la comunità umana come impegno da costruire insieme a tutte le altre persone. È una riflessione che non interessa solo il Comitato Feste o i vari comitati per le feste patronali, ma tutti noi, come comunità cittadina in cui anche noi cristiani siamo inseriti come persone che credono in un Dio che ha legato l’umanità alla libertà, che si è rivelato come liberatore e ci dona ancora parole di vita eterna per vivere e costruire la comunità umana.