Città miniera

Città miniera

21 Maggio 2023 1 di Makovec

Pietre, roccia, ferro e plastica, materiali che danno forma alla città. Una forma che chiamiamo architettura o, meglio ancora, una forma creata o prodotta dall’architettura stessa. Non come disciplina a se stante ma come rappresentazione dell’essere umano, come taglio antropologico che si esprime attraverso l’architettura e nell’architettura offre una forma alla città. Prospettive antropologiche offerte dalla filosofia e rielaborate nella filosofia, hanno dato forma alla città attraverso il linguaggio dell’architettura, dall’antropocentrismo dalla decentralizzazione dell’essere umano. Ogni città, insomma, riflette l’essere umano, riflette chi ci abita. Ed è questo il problema fondamentale e, se vogliamo, anche la sfida di ogni città: la sua abitabilità. Dove l’abitabilità consiste in una continua ermeneutica fra umano e urbano, fra la città e i suoi abitanti. Una ermeneutica che, quando viene a mancare, sviluppa una disarticolazione fra l’essere umano e il suo ambiente, fra l’umano e la città, fino a non riconoscere né se stesso né la città in cui vive. Una disarticolazione che ha bisogno di riprendere la forma dell’architettura, la forma che l’architettura stessa può offrire alla città. In quest’ottica, Mario Cucinella parla di città miniera. L’idea di fondo è concepire la città come una miniera in cui sono presenti già tutti i materiali che servono per costruire altre città, altri edifici innovativi e contemporanei. Ferro, acciaio, cemento, vetro, pietra, tutti materiali di risulta delle costruzioni precedenti possono essere riutilizzati per l’edificazione di nuovi edifici. È esattamente ciò che hanno compiuto i nostri antenati nelle città precedenti, quando ad un paradigma antropologico se ne è sostituito un altro. Così i marmi del Colosseo furono utilizzati per la costruzione del loggione di san Pietro in Vaticano, oppure colonne di templi antichi sono stati utilizzati per la costruzione di nuove chiese. Il paradigma antropologico cambia e la città si trasforma in una maniera, in un luogo in cui i materiali possono essere prelevati da un edificio e utilizzati per la costruzione di nuovi edifici. Se questo è stato possibile nell’antichità a causa delle differenti concezioni dell’essere umano, attraverso i cambi di cultura che si sono susseguiti, potrebbe essere possibile ancora oggi. Tuttavia, la domanda che ci possiamo porre è: qual è il cambiamento antropologico di fondo? Il concetto di città miniera è possibile nella misura in cui la città stessa cambia la sua prospettiva sull’essere umano, allora qual è il cambio che ci occorre mettere in atto? Probabilmente, la svolta antropologica che può aiutarci a ripensare le nostre città come miniera è proprio nel passaggio da esseri umani consumatori ad essere umani sostenibili. Per anni abbiamo pensato e continuiamo ancora a pensare a noi esseri umani come individui che consumano. Non importa chi o cosa, l’importante è che la relazione e la percezione del mondo sia quella del consumo. Il passaggio da poter mettere in atto è dal consumo alla sostenibilità. Dove il sostenibile è colui che autogoverna se stesso attraverso ciò che già ha, attraverso le risorse che già possiede. Si tratta, dunque, di un cambio antropologico che non vede invadere, conquistare, innovare e colonizzare, ma fare i conti con i propri limiti, con la propria fragilità e impotenza. Un cambio che, paradossalmente, rendere le nostre città miniere di nuovi sviluppi, nuovi approcci, nuove prospettive in cui ciò che davvero conta con è il prodotto, ma la comunità.