Dal Panopticon al Caleidoscopio

Dal Panopticon al Caleidoscopio

8 Dicembre 2019 0 di Makovec

Negli scorsi mesi, Lugano è stata invasa da una serie di scarpe gialle. Piazza Manzoni è stata la sede dell’opera Panopticon di Oppy de Bernardo. L’opera d’arte consiste in una serie di scarpe di vari modelli e forme, tutte accomunate da un rivestimento giallo. Già il titolo dell’opera, Panopticon, richiama al modello di carcere perfetto, disegnato da Bentham e ripreso da Michel Foucault nel suo libro Sorvegliare e punire. Il Panopticon, come un po’ tutti sappiamo, è il modello di carcere che massimizza le sue funzioni in quanto tutti i prigionieri si sentono, in ogni momento della giornata, sorvegliati. La sicurezza, dunque, non è data dallo spessore del muro o dai sistemi di allarme, ma da un grande fare posto al centro del carcere, che gira continuamente e che penetra nelle celle e nelle vite dei carcerati. Potremmo dire che è l’antesignano del Dittatore per eccellenza qual è il Grande Fratello. Un sistema che sorveglia costantemente i suoi sudditi, e che in questo modo li controlla. Non ci sarebbe neanche bisogno di avere una guardia fissa dietro le telecamere o di sapere se ci sia qualcuno a guardare realmente tutti i passi che facciamo. Basta, semplicemente, la percezione del sentirsi sorvegliati per mantenere il controllo sulle persone. Paradossalmente al modello del Panopticon, però, l’opera di de Bernardo vuole sottolineare una modo differente di guardare le cose, mettendosi nelle scarpe degli altri. Il giudizio, il controllo, la sorveglianza sono modi per tenere le persone sotto il proprio dominio, mentre mettersi nelle scarpe degli altri significa, cambiare lo sguardo. Dove il cambio di sguardo significa provare compassione per l’altro, comprendere dove ha sbagliato, perché ha sbagliato, se davvero c’è stata una scelta. Significa non dare un giudizio sulla vita degli altri, cosa che non vorremmo neanche sulle nostre vite, ma aiutare gli altri a liberarsi, a farli sentire meno soli, semplicemente comprendendo le scelte che hanno fatto. Non giustificandole, ma aiutandoli ad andare oltre le scelte, per quanto sbagliate possano essere. Ecco, perché dunque, un cammino che diviene un camminare insieme, mettendosi nelle scarpe degli altri. A tutto questo, poi, si aggiunge anche il gioco di forme dell’opera di de Bernardo. Se il Panopticon di Bentham aveva bisogno di una struttura circolare e rigida per poter funzionare, il Panopticon di de Bernardo, mentre lo si guarda, sembra cambiare forma, come un Caleidoscopio, che non significa altro che Guardare la bellezza. Allora è proprio questo il passaggio che Oppy de Bernardo ci invita a fare, un passaggio che è una conversione dello sguardo, dal Panopticon al Caleidoscopio, dal sorvegliare le vite degli altri a guardarne la bellezza nascosta. Perché in questo cambio di sguardo c’è la conversione di tutto noi stessi, quella conversione che nasce quando incontriamo realmente il Dio della Bellezza.