
Ascensione fotografica
At 1,1-11; Sal 46; Eb 9,24-28; 10,19-23; Lc 24,46-53
Sul Giornale dell’arte del mese di aprile, Francesco Zanot ha pubblicato un interessante articolo sulla fotografia come questione di fede (https://www.ilgiornaledellarte.com/Articolo/La-fotografia-Una-questione-di-fede). Secondo il curatore d’arte, la fotografia subisce gli influssi della postverità e dell’intelligenza artificiale, tendendo sempre più non a rappresentare o ripresentare la realtà ma ad evaporare in una indistinzione fra vero e falso. In altre parole, nella fotografia, come nelle altre arti, ciò che interessa non è più la distinzione fra vero e falso perché, sostanzialmente non interessa a nessuno di noi. Ciò che davvero ci interessa, in quest’epoca, è che ciò che ascoltiamo, ciò che vediamo, ciò che ci viene raccontano possa riecheggiare ciò che noi pensiamo, ciò che noi desideriamo, ciò che noi vogliamo vedere e sentirci dire. In altri termini, è un vedere ciò che vogliamo vedere e credere che quello che vogliamo vedere sia la verità. Uno sguardo senza visione, esattamente il contrario della solennità che stiamo vivendo oggi, l’Ascensione. Una solennità che si presenta, stando al racconto degli Atti, dopo quaranta giorni dalla pasqua, in un periodo pedagogico di educazione dello sguardo e di educazione allo sguardo. Per quaranta giorni c’è si è fatto vedere dai suoi discepoli, è stato con loro, ha mangiato, ha camminato con loro, ha detto loro delle cose e li ha riconfermati nella fede. Soprattutto, ha insegnato loro a raccogliere i suoi insegnamenti sotto lo sguardo della resurrezione stessa. Come ci ha racconta Gesù nel Vangelo: Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Tutto ciò che Gesù ha detto ora lo guardiamo e rileggiamo sotto una nuova lente, con un nuovo sguardo che è la resurrezione. Non sono, allora, solo delle massime, ma nella fede le cogliamo sotto la prospettiva del Risorto. È come quello sguardo fotografico che non monta la realtà, ma ne assorbe quella luce che permette di leggere il reale, di imprimere la realtà dentro di noi. La luce della resurrezione non è una luce fine a se stessa, ma una luce che ci permette di guardare e di imprimere dentro di noi il mondo e gli insegnamenti di Gesù sono quella regolazione della luce, quella quantità di tempo che serve all’otturatore per imprimere la luce, quei tempi di esposizione alla luce. Gli insegnamenti di Gesù sono quella tempistica, quella quantità, quella distanza e quella messa a fuoco della fotografia che non ritocca la realtà o non la falsa, ma la imprime dentro di noi. Essere testimoni della resurrezione, allora, acquista anche una sfaccettatura nuova, ovvero il mettersi dinanzi al mondo imparando dallo sguardo del Cristo. Proprio nel racconto degli Atti, in una sola frase, c’è una dialettica dello sguardo che ci educa alla relazione con Cristo e con il mondo. Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Nell’Ascensione non guardiamo solo il Cristo ma guardiamo il mondo con lo sguardo di Cristo, diventando tempio dello Spirito nei tempi attuali. È una piccola ma importante differenza fra il guardare Cristo e il suo sottrarsi senza sparire o scomparire dalla vista, ma ascendendo al cielo. Si tratta di un modo di vedere il mondo, di fotografare il mondo non solo vedendo o ascoltando quello che vogliamo sentire e vedere, ma affrontando la complessità del mondo, mettendoci in ascolto anche di pensieri che divergono dal nostro. In questo modo, la fotografia della realtà non è una falsificazione della realtà ma un cammino di purificazione interiore che parte dallo sguardo. Quel cammino che ci libera, gradualmente, dal peccato, che attende la venuta di Cristo senza più alcuna relazione con il peccato, come ricorda l’autore della Lettera agli ebrei. Guardare il mondo, fotografare il mondo, diviene questione di fede non solo per quanto riguarda la verità delle immagini che guardiamo, ma perché pian piano il nostro sguardo si purifica guardando alla realtà, guardando a ciò che ancora c’è di bello, di vero, di buono e di autentico. Guardare la realtà è quell’accostarci con cuore sincero, nella pienezza della fede, con i cuori purificati da ogni cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura. Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso. Allora l’Ascensione non è l’addio di Gesù ai discepoli ma l’intonazione di un canto nuovo, di un battere le mani, di un fragore che si rinnova, di una testimonianza che sorge dall’ascolto e non dalle quantità di parole che diciamo. Un canto nuovo riecheggiato nel salmo: Popoli tutti, battete le mani! Acclamate Dio con grida di gioia, perché terribile è il Signore, l’Altissimo, grande re su tutta la terra. Ascende Dio tra le acclamazioni, il Signore al suono di tromba. Cantate inni a Dio, cantate inni, cantate inni al nostro re, cantate inni. Testimonianza del Cristo risorto attraverso cui fotografiamo la realtà.
Di recente sulla facciata del Duomo di Napoli c’è un installazione dell’artista francese JR. Un murales fotografico in bianco e nero con rappresentati 606 cittadini napoletani. Ognuno di loro rappresenta un gesto, un mestiere, uno stato d’animo della città. Un’opera che ha diviso ma che io ho trovato molto emozionante. L’articolo mi ha rimandato a questa grande fotografia: un ritratto corale dove la luce illumina tutti allo stesso modo, nessuno prevarica l’altro. Un popolo in cammino. Che acclama Dio con grida di gioia. L’installazione si intitola “Chi sei, Napoli?”