Megalopolis: la favola di un abitare differente
Quando muore un impero? In un solo tragico momento? No! Un impero muore quando i suoi abitanti smettono di credere in lui! Queste sono le parole con cui si apre Megalopolis, la nuova favola di Francis Ford Coppola. Un racconto lungo e complesso, con una gestazione durante molti anni da parte di Coppola stesso. Una storia cha fa del parallelismo con l’impero romano un sottofondo costante con una serie di citazioni, fra cui la più evidente è il conflitto fra il sindaco Cicero e l’architetto e imprenditore Catilina, ideatore di una nuova sostanza, il megalon. Un materiale che potrebbe proiettare la città nel futuro, mentre la vera ossessione di Catilina è quella di fermare il tempo, un uomo così proteso al futuro da rimanere costantemente incatenato al passato. Da una parte, dunque, un conflitto interiore di Catilina stesso mentre dall’altra un conflitto fra quest’ultimo e Cicero sul futuro della città. Futuro che viene deciso ai piani alti, nelle stanze del potere e delle istituzioni, mentre tante e tante persone della città ne rimangono fuori. Un futuro in cui tutti noi siamo implicati e che, al tempo stesso, viene determinato solo da poche persone con pochi interessi e, per lo più, privati. Questo è il modo attraverso cui un impero smette di esistere, cessa la sua vita politica. Perché Megalopolis, oltre alle molte cose che ci racconta sul tema della città, ci mostra anche come la politica delle città non sia più un affare di tutti, ma solo di qualche protagonista e di alcuni protagonismi. Pur rifacendosi al mito di Roma, siamo dinanzi agli ultimi brandelli di un potere perso fra lo sfarzo e il lusso, fra l’ipocrisia purista e l’emergere di individualismi vari. Allora, al popolo cosa resta? Restano brandelli di potere, resta una becera mascherata della politica che ha i sentori del più evidente populismo. Ed è il populismo di chi vuole che i corrotti vadano tutti a casa, di chi vuole riprendersi la città, che alimenta, paradossalmente, lo stato di potere e di corruzione. Allora, la sola speranza sembra essere quella di una innovazione dei materiali, il megalon, che verrà a costituire una nuova città in cui le disuguaglianze verranno lasciate tali e quali, in cui il popolo sarà solo uno sfondo opaco alle innovazioni e alle nuove architetture costruite con nuovi materiali. Prodotti nuovi e antiche schiavitù, quindi, che si intrecciano in una favola che assume sempre più i tratti di un incubo urbano, con un sole incerto fra l’alba e il tramonto, confuso fra le nuvole e un tempo eternamente fermo. Una città e una politica, dunque, che ci fa chiedere se abbia ancora senso abitare le città e che, al tempo stesso, diviene favola di un mondo altro, utopia di un abitare differente.