Comunità e periferie

Comunità e periferie

5 Ottobre 2025 1 di Makovec

Nella comunità possiamo allargare lo sguardo alle altre comunità che vivono nelle periferie e che subiscono processi di periferizzazione e di marginalizzazione. In questo modo, si può concretizzare quella dimensione missionaria caratterizzata dalla gratuità che contiene la stessa radice di grazia e gratitudine, in una dialettica per cui ciò che è più importante non sono le strutture o gli spazi che possiamo costruire ma iniziare a guardare la città come un insieme di comunità, di luoghi formativi, di incontri e di legami, di storie e di strade. Paradossalmente, potremmo fare formazione inventando, creando, giocando con la città, con il quartiere, con ciò che avviene e ciò che parla del Regno, con le potenzialità delle persone e con le strutture già presenti, senza averne proprietà ma semplicemente utilizzandole perché ciò che maggiormente ci interessa sono le relazioni creative da cui poter far scaturire nuove collaborazioni. E in questo le periferie hanno ancora molto da insegnarci, come ricorda Carlo Cellamare, in quanto sono i luoghi in cui alla penuria di mezzi corrisponde una grande inventiva e una grande capacità di adattabilità delle relazioni.

Lungi dal declinare una sorta di romanticismo delle periferie, nella loro ambiguità e nella loro problematicità, sono il luogo dove le forme di subordinazione generano le tensioni creative più significanti. Bisogna saperle cogliere e riconoscere. In questa condizione di ambiguità, tipica del neoliberismo come fatto culturale e sociale e non solo economico, le periferie sono allo stesso tempo sia il luogo primo dello svuotamento della politica, il luogo dove cogliamo forti elementi di depolicitizzazione, sia il contesto in cui è forte la richiesta di politica e si cerca di sperimentare percorsi innovativi, di ricostruzione politica.[1]

Processi di ricostruzione che, se oggi ci possono sembrare impossibili, ci basta scavare nella storia per riconoscer come sono stati propri di uno specifico cristiano. Anzi è proprio qui che ritorniamo sullo specifico delle comunità parrocchiali come organismi intermedi di relazione fra cittadini e istituzioni, soprattutto in periodi di crisi. Le comunità parrocchiali possono essere grandi incubatori di opportunità per le periferie quando iniziano a riconoscere l’importanza del dato concreto, delle situazioni e dei bisogni sociali delle persone che insistono in un determinato territorio. Non solo per una inclinazione sociale delle parrocchie ma per il principio stesso dell’Incarnazione, ovvero della professione di fede in un Dio che si è fatto carne in un periodo storico determinato, in una situazione sociale e politica determinata, in un contesto di pratiche religiose e civili determinato come è la Palestina del I secolo.


[1] C. Cellamare, Dialoghi inter-urbani, Bordeaux edizioni, Roma 2022, p. 83-84.