Indecorose: donne e periferie
Vogliamo, per appunti sparsi e riprese difficili, continuare la nostra riflessione sulla relazione fra spiritualità e città puntando l’attenzione sul femminile, sulla relazione fra donne e città. Oggi si inizia, dopo molto tempo, a parlare di città femminista e transfemminista, con degli interventi estremamente importanti a cura di donne che hanno segnato la storia del femminismo dalla seconda metà del Novecento in poi. Nei precedenti articoli abbiamo citato Rita Laura Segato e il caso di Ciudad Juarez, una delle città più violente del Messico, in cui le donne non vengono sepolte ma gettate in discarica. Oggi, attraverso la riflessione di Serena Olcuire, vogliamo porre l’attenzione sulle sex worker. Scrive Olcuire:
Un esempio eclatante, in questo senso, è quello delle sex worker: soggetti che per la stragrande maggioranza si riconoscono nel genere femminile, ma che assumono condotte sessuali inappropriate, ostentano corpi e/o indumenti osceni, si prendono lo spazio e il tempo della notte (tradizionalmente preclusi alle donne) escono dalla categoria delle “vulnerabili”, delle possibili vittime da difendere, entrando in quella delle presenze indecorose e dunque minacciose nella percezione collettiva. È così che le forme di governo dello spazio pubblico summenzionate, dalle ordinanze al Daspo urbano, vengono messe in campo per rimuovere il fenomeno dagli spazi pubblici delle città italiane; usiamo rimuovere nel senso letterale del termine, perché il sex work, così come tutti gli altri fenomeni considerati indecorosi, non viene certo eliminato: le persone che lo praticano in strada subiscono uno spostamento continuo verso quartieri più bui e periferici, recidendo la costellazione di relazioni più o meno significative che possono aver costruito nel frattempo e attuando forme di persuasione da parte delle forze dell’ordine che sfociano troppo spesso in abusi o violenze.[1]
Indecorose, donne lebbrose che vivono nelle nostre città. Per la maggioranza si riconoscono nel genere femminile e sono donne che, spesso, provengono dalla migrazione forzata alla ricerca di migliori condizioni di vita. Indecorose vittime di uno stigma e di violenze che si perpetuano sui loro corpi. Scaraventate in angoli sempre più bui e periferici delle città ma mai eliminate dalla scena urbana. Il loro essere indecorose le condanna ad una invisibilità in alcuni spazi urbani come possono essere i centri cittadini per relegarle in un uso e consumo del maschile e del patriarcale. Sono indecorose ma, al tempo stesso, utili per essere sottomesse al volere/piacere maschile. Prostituite più che prostitute.
[1] G. B. Ronsenkranz – F. Castelli – S. Olcuire, Bruci la città. Generi, transfemminismi e spazio urbano, Edifir, Firenze 2023, p. 37-38.
Fenomeno ancora tristemente visibile sulla statale che collega Foggia al subappennino dauno, ma non meno presente in comtesti urbani come il nostro, anche se in forme meno evidenti e più “evolute”.
Fenomeno che neutralizza tutto il duro cammino che il genere femminile percorre da sempre. È davvero denigrante per quelle donne che con coraggio e tenacia lottano affinché la società, sempre più malata di machismo, riconosca l’equità e la parità di diritti. Da donna mi sento umiliata da altre donne che consapevolmente scelgono questa tipologia di vita/lavoro ( e non mi riferisco solo alla prostituzione in strada o in appartamento, ma a quei siti dove per un guadagno facile e veloce si mette in vendita il dono sacro della dignità e della femminilità) e allo stesso tempo mi sento vicina a chi invece è costretta con la violenza a vendere il proprio corpo a uomini frustati e impotenti. È un argomento che nonostante l’impegno di associazioni e di sparuti sacerdoti è sempre poco preso in considerazione…mi fermo qui altrimenti potrei continuare all’infinito…
La tratta delle donne e la loro disumanizzazione e trasformazione in beni fungibili offrono una versione a basso costo e a basso rischio della ‘vittima perfetta’ che non reagisce all’esercizio del dominio temporalizzato e a pagamento . Chi siamo veramente per averne ‘bisogno’?