Gaza, ovvero metafisica della città

Gaza, ovvero metafisica della città

2 Novembre 2025 3 di Makovec

Durante la mia seduta di laurea magistrale mi è stata posta una domanda interessante. Mi è stato chiesto se ci fosse la possibilità di una applicazione sul campo della metafisica della città, ovvero di una metafisica che si interessi alla città e possa aiutare a pensare le nostre città. L’esempio che, lì per lì, mi è venuto in meno è stato proprio Gaza city. Era il mese di luglio e infuriavano ancora i bombardamenti su Gaza, con migliaia di morti al giorno, senza contare i feriti e le macerie. In quel momento, come ancora oggi che le immagini di Gaza city entrano nelle nostre case o sono presenti nei nostri cellulari, viene da chiedersi: che cosa è una città? Siamo abituati, anche a livello mentale e visivo, ad identificare immediatamente una città con i suoi palazzi, strade, luci, auto, perone per le vie e così via. Ma quando di una città non rimangono altro che macerie, che cosa è una città? Possiamo ancora parlare di città? Dinanzi allo scenario desolante del genocidio palestinese e delle immagini di Gaza con ormai scheletri di palazzi, possiamo ancora parlare di città? La domanda ha degli immediati risvolti politici. Infatti, se continuiamo a parlare di Gaza anche dinanzi a quel cumulo di macerie, stiamo asserendo che quella è ancora una città abitata da persone, che ha subìto una distruzione importante e sistematica. Invece, se pensiamo che Gaza sia solo un cumulo di rovine e che non ha più senso chiamarla “città”, allora stiamo riconoscendo l’impossibilità ad esistere anche per il popolo palestinese e soprattutto per i cittadini di Gaza. Ed è qui che ci viene incontro la metafisica della città o, meglio, l’affermazione che ogni città è metafisica. Gaza, come anche le nostre città, non sono mai state identiche a se stesse, ma si sono evolute nel corso degli anni e dei secoli. La Gaza del periodo latino è stata la prima città in Palestina, ricchissima di risorse e di commerci. La Gaza che abbiamo visto nel 2015 è già estremamente differente rispetto alle macerie lasciate da Israele. Eppure, la sua storia rimane insita nel nome, in un nome che travalica i secoli e che va ben oltre i suoi palazzi, le sue strade, le sue relazioni sociali e politiche. Riconoscere una metafisica alla città di Gaza significa riconoscere che la sua esistenza rimane anche oltre la distruzione e le macerie, che il suo diritto ad esistere come città fatta di cittadini e non come una Disneyland frutto di affari economici, è una questione filosofica, politica e urbana. Pensare di cancellare Gaza radendola al suolo non significa cancellarne la metafisica ma ridurre i suoi abitanti in condizioni subumane che vanno dalla schiavitù alla ghettizzazione nelle tendopoli, fino alla migrazione. Ma anche quando una città viene spopolata, rasa al suolo, cancellata in termini di abitato, permane ancora una sorta di sua metafisica fatta di storia e di narrazioni. E questo se vale ancora per Gaza, oggi, la quale non può essere cancellata solo dalla distruzione di palazzi e di civili innocenti, vale anche per tutte le nostre città che sono, in qualche misura, non concentrati di edificato ma narrazioni metafisiche.