Fede: insistenza e resistenza

Fede: insistenza e resistenza

18 Ottobre 2025 0 di Makovec

Es 17,8-13; Sal 120; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

Imagine all the people non è solo una canzone di Jhon Lenon ma anche il titolo della Marcia Perugia-Assisi che si è svolta lo scorso 12 ottobre. Una marcia che ha visto una partecipazione di 200.000 persone fra associazioni, scuole e università, enti locali, amministrazioni comunali. Una marcia voluta da un giovane Aldo Capitini, il quale ha creduto fermamente che la guerra non si vince sui campi di battaglia ma attraverso il pensiero, la solidarietà e la fraternità nonviolenta. Un percorso molto più lungo dei 25 chilometri della marcia ma che ci porta dinanzi alla motivazione per cui Gesù racconta della necessità di pregare sempre senza stancarsi mai. Perché pregare? Perché pregare sempre? Perché pregare senza stancarsi mai? In fin dei conti, una certa rassegnazione che serpeggia nella dimensione pubblica come anche dentro di noi, ci fa dire che non serve a niente, che non si risolve mai nulla, che il mondo si divide fra padroni e schiavi e fino a quando siamo dalla parte dei padroni ci va anche bene. Una rassegnazione per cui le cose non possono cambiare mai, non cambieranno mai. Una rassegnazione che è giustificazione alla nostra pigrizia e indifferenza. Eppure, nel corso della storia, ci sono stati uomini e donne, credenti o non credenti, che hanno vissuto la nonviolenza come metodo più efficace rispetto ogni guerra per poter prosperare in questo mondo. E se oggi ci sono ancora tante persone che popolano la marcia Perugia-Assisi significa che il metodo nonviolento, lo scendere in piazza, il dialogo, la ricerca di un orizzonte che vada ben oltre le nostre piccole miserie, è ancora possibile. Si tratta di quelle richieste che si trasformano in preghiera dinanzi a Dio. Quella preghiera insistente come è stata la preghiera di Mosè con le mani alzati. Una preghiera che coinvolge tutto il corpo di Mosè e che cerca la compagnia degli amici, che cerca l’aiuto dei compagni e degli amici. Non ci sono eroi nella battaglia fra Giosuè e Amalek, come non ci sono gesta di guerrieri da raccontare, ma una preghiera nonviolenta che è il vero motore che fa prosperare Israele, che è il vero motivo per cui Israele riesce a superare l’ostacolo della guerra. Non viene elogiato Giosuè, come neanche Mosè, ma un racconto asciutto di una persona che prega e non si rassegna, una persona che prega e non si arrende, una persona che prega e cerca l’aiuto dei suoi amici per continuare a tenere le mani in alto. La fatica di una preghiera che non si arrende, una preghiera che cerca aiuto, una preghiera in cui non è importante arrivare alla fine con le proprie forze ma giungere al tramonto con perseveranza. È il consiglio che Paolo offre a Timoteo quando gli chiede di credere fermamente e rimanere saldo in quello che ha imparato. Nonostante tutte le difficoltà del caso, rimanere saldo in ciò che ha imparato, riconoscere dove è la via, qual è l’orizzonte e il senso pieno della sua esistenza. Una fede che ci permette di rimanere in piedi, una fede che non ci fa arrendere e cadere le braccia, ma ci spinge a insistere al momento opportuno e meno opportuno, anche se questo significa dare fastidio a coscienze assopite e rassegnate. Insistere continuamente nell’obbedienza al Cristo che ci viene raccontato dalle Scritture, rimanendo fedeli alla sua Parola. In questo modo, in questo orizzonte, allora la preghiera diviene consapevolezza di un Dio che ci custodisce, di un Dio che ci tiene per mano anche quando non ci sembra possibile, anche quando tutto nella nostra vita sembra venire meno, anche quando ci perdiamo e non sappiamo più dove andare. In tutti questi momenti, in questo nostro vagare, la fede è riconoscere che siamo custoditi da Dio, come ricorda il Salmo: Il Signore ti custodirà da ogni male: egli custodirà la tua vita. Il Signore ti custodirà quando esci e quando entri, da ora e per sempre. La fede di quella donna che ha chiesto giustizia anche quando il giudice non era dei migliori, anche quando chi applica la giustizia o chi ha responsabilità di governo o amministrativa non è dei migliori. Il problema è la tenuta dell’insistenza, la resistenza che fa brillare la nostra luce e che non cede alla rassegnazione. È la consapevolezza che la nostra vita ha senso nella misura in cui lasciamo il mondo migliore di come l’abbiamo trovato, nella misura in cui lo lasciamo alle generazioni future che chiedono giustizia e pace. Allora qui, la domanda di Gesù sulla fede diviene provocazione alla coscienza. Non una lamentela contro la secolarizzazione o il secolarismo che dicono una perdita di fede, ma una provocazione all’insistenza, alla resistenza. Questa è la fede.