Abitare la salvezza: comunità urbane e annuncio cristiano

Abitare la salvezza: comunità urbane e annuncio cristiano

18 Settembre 2020 2 di Makovec

Scorrendo le pagine della Scrittura, una delle immagini che riguardano la salvezza di tutta la persona è, sicuramente, quella della città. Con la salita al trono di Davide, pian piano l’idea di salvezza non riguarda più solo una Terra Promessa, ma una città: Gerusalemme. Sede del Tempio e del culto, mèta di pellegrinaggi, luogo in cui trovare salvezza dalle pagine dell’Antico Testamento fino al Nuovo, con l’Apocalisse. L’immagine della Gerusalemme celeste è l’immagine della salvezza in quanto città in cui abitare, una città a misura d’uomo. Tuttavia, se volessimo guardare alla situazione delle nostre città, la contemporaneità non sembra offrire molti spazi per trovare salvezza, come non sembra offrire neanche molti luoghi a misura d’uomo nelle nostre città. Tanto che, in quasi tutto il mondo, le piccole o grandi rivoluzioni hanno un minino comune denominatore ovvero l’umanità e il trovare luoghi d’umanità, letteralmente luoghi comuni.

Proprio nella rivelazione di un Dio Uno e Trino, la comunità cristiana è chiamata ad intravedere nella creazione di comunità uno dei più significativi segni dei tempi per un annuncio del Vangelo in chiave contemporanea. In un suo saggio dal titolo Europa, terra di missione, Theobald affermava che bisogna riconfigurare la questione della fede cristiana, come inedita capacità di apprendimento non solo individuale ma anche collettivo. Dinanzi al fenomeno della secolarizzazione, del pluralismo religioso, come anche della difficoltà nel vivere insieme la fede cristiana in un Dio che è in se stesso comunione perfetta, ci spinge a chiederci quale apprendimento e quale conversione bisogna mettere in atto per riannunciare la buona novella per questa porzione di mondo. Questione sempre aperta che ha bisogno, oggi più che mai, secondo il teologo Duilio Albarello di uscire da tre vicoli ciechi: il dottrinarismo, il moralismo, lo spiritualismo. Nel dottrinarismo abbiamo un insieme di teorie statiche per cui la fede è intesa come accettazione di un insieme di teorie in forza dell’autorità di Cristo. Così inizia una separazione fra la dottrina formale e l’esistenza concreta dei credenti con doppia conseguenza: da una parte la caduta nel moralismo con un cristianesimo senza nessuna corrispondenza fra la dottrina e l’esistenza e dall’altra parte una dottrina che non incide assolutamente sulla vita ordinaria e quotidiana. Il Concilio Vaticano II ha preso coscienza di questo intreccio micidiale fra dottrinarismo, moralismo e spiritualismo. Giovanni XXIII ha fin da subito orientato in questa prospettiva l’aggiornamento, non come forma passata e inadatta ma come l’essere all’altezza del giorno che viene. Ed è proprio qui, secondo Albarello, la chiave di volta della riflessione teologica contemporanea. Una riflessione sull’essere Chiesa all’interno della città, fuggendo da una duplice tentazione: restaurare una lobby ecclesiastica-politica oppure ripiegarsi nella logica della setta che si cura dei suoi adepti disinteressandosi dal mondo fuori il recinto confessionale. Scorciatoie seducenti di cui c’è bisogno di intraprendere un giro lungo che passa attraverso il coinvolgimento personale di uomini e donne che abitano la città secolare, perché come ricorda Evangelii Gaudium la fede in Cristo ha sempre e comunque conseguenze sociali e politiche. L’annuncio e l’esperienza cristiana tendono a provocare conseguenze sociali, per cui la proposta è il Regno di Dio, che significa attuare un movimento di uscita che ci porta nel cuore stesso della vita interpersonale. E se costruire comunità urbane, oggi più che mai, significa costruire il Regno di Dio, allora la presenza cristiana può diventare generativa nello e dello spazio sociale, una particolare figura di esistenza, una maniera di abitare il mondo che può essere davvero colta come innovativa e rivoluzionaria.